Certe cose non le scegli, credo.
Sei un novello diciottenne, più o meno, e un amico ti presta un romanzo di fantascienza con l’intento di darti una prospettiva differente rispetto a quel che leggi di solito. A suo modo più dinamica, ampia e visionaria.
Cosa potrebbe mai accadere di male? Avrà pensato.
Che magari di lì a poco avrei deciso di scriverne, perché la diga che aveva abbattuto con quel gesto non era evento da sottovalutare.
Va da sé che chi scrive fantascienza, in Italia, dal 1952 ha una Stella Polare imprescindibile: Urania. La collana editoriale Mondadori dedicata alla fantascienza, nel bene e nel male, ha scandito la vita letteraria di ogni fantascientista italiano. Autori e autrici, oltre che lettori e lettrici, l’hanno sempre vista un po’ come la “mamma” del genere preferito, e in fondo continua a essere così nonostante il proliferare di editori, riviste e siti di grande qualità.
Il ragazzo che per qualche insondabile motivo decise di prendere in mano una macchina da scrivere, coronò il sogno nel 1998. Sì, perché finire sulle pagine di Urania quello era. È come essere cuochi dilettanti, starsene a casa, in cucina, a spalmare maionese su un tramezzino, e poi ti telefona Cracco per chiederti se vuoi andare a buttare la pasta nel suo ristorante. La metafora non è granché, ma rende l’idea.
Mi scrisse Franco Forte, curatore di “Millemondi – Strani giorni”, chiedendomi se fossi d’accordo per inserire nell’antologia il racconto “Mekong” col quale avevo vinto un premio (domanda decisamente retorica). Era il primo Millemondi tutto italiano in casa Mondadori, e io c’ero. Una bella soddisfazione per lo scribacchino che aveva iniziato tanto per…
Ora, potrei dirvi che il numero 22 nella Smorfia è il Matto, che 22 nella simbologia cabalistica indica l’universo o che, per finire in bellezza, 22 è il numero dei capitoli dell’Apocalisse di San Paolo. E invece no, da romantico quale sono, oggi ho in testa solo che 22 è il numero di anni trascorsi da quel primo Millemondi (con 22 autori presenti) all’ultimo, che si intitola “Distòpia”. E oggi, come allora, ci sono, con la stessa soddisfazione e lo stesso batticuore, perché così dev’essere e così è.
Due decadi e più non sono poche, e Urania mi ha accolto negli anni ancora con un racconto e un romanzo (nel 2010). Nel frattempo ho scritto altro e ora torno sulle sue pagine sempre dietro l’invito di Franco Forte, che insieme a Valerio Evangelisti (l’unico altro autore presente in entrambe) è il nome che mi accomuna all’antologia “Strani giorni”.
Visto che siamo in tema di ritorni, mi sono detto, perché non ripercorrere le vie di quell’Oriente che spesso ha caratterizzato la mia scrittura? Nello specifico, il racconto dell’antologia, “Yamapurī”, è ambientato in India e in un mondo – il titolo dell’antologia è emblematico – nel quale di sicuro non ci piacerebbe vivere. Del resto a questo serve la fantascienza: mostrarci la direzione verso la quale stiamo andando, perché spesso la consapevolezza sembra sia un optional non installato.
Passeranno altri 22 anni? Chi può dirlo. Di certo per ora è stato un bel ritorno a casa.